Edizione n.44 di mercoledì 11 dicembre 2024
Università dell'Insubria
Cittiglio, emerse dalla necropoli interessanti sepolture
A Cittiglio, nel Varesotto, giovedì 7 luglio si è svolto nella chiesa di San Biagio il sopralluogo organizzato dall’Università dell’Insubria, dal Gruppo amici di San Biagio e dalla Parrocchia San Giulio Prete. Giuseppe Armocida, docente di Storia della medicina, e Marta Licata, tecnico del dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita, hanno illustrato i primi ritrovamenti già effettuati e il progetto di ricerca sui resti umani che provengono dalle sepolture, sostenuto dalla Fondazione Comunitaria del Varesotto e guidato dalla parrocchia di S. Giulio Prete di Cittiglio.
Al sopralluogo hanno preso parte anche il rettore Alberto Coen Porisini, il direttore del dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita Giovanni Bernardini, l’archeologo Roberto Mella Pariani, l’ingegnere Antonio Cellina per il Gruppo amici di San Biagio e il parroco della parrocchia San Giulio Prete don Daniele Maola.
RESTAURO E SCAVI
C’è una vera e propria necropoli a Cittiglio. Università degli Studi dell’Insubria e Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia sono al lavoro per scoprire che cosa si cela nel suolo dentro e fuori la Chiesa di S. Biagio. Dal maggio 2016, infatti, è iniziata l’indagine dell’area cimiteriale esterna dell’abside medievale della piccola chiesa romanica situata su un’altura che domina il paese di Cittiglio e il paesaggio circostante.
In questa antica chiesa sono in corso da circa 25 anni importanti lavori di restauro voluti dalla parrocchia di Cittiglio e dai volontari del Gruppo Amici di San Biagio, che con diverse iniziative hanno raccolto i fondi per finanziare i lavori fino ad oggi svolti.
Tra questi lavori vanno ricordati gli scavi archeologici effettuati dal 2006 al 2009 all’interno della chiesa e che hanno portato alla luce importanti tracce strutturali di età medievale e, tra esse, circa venti sepolture, indagate dall’archeologo Roberto Mella Pariani di Golasecca (allora della Società Lombarda Archeologia SLA di Milano).
Lo scavo del 2016 è la continuazione dell’indagine archeologica allora compiuta ed anche questa è eseguita da Roberto Mella Pariani oggi della ditta Archeo-Studi di Bergamo. Entrambi gli scavi sono effettuati sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia e coordinati oggi dal funzionario Francesco Muscolino.
DUE MORTI VIOLENTE E SCHELETRI DI INFANTI
L’ateneo varesino è già intervenuto per studiare i resti scheletrici umani che provengono dalle sepolture rinvenute all’interno della chiesa, ma è interessato a proseguire gli studi anche su eventuali altre sepolture presenti sotto il sagrato. Per questo Giuseppe Armocida, Giovanni Bernardini e Marta Licata – in collaborazione con il Gruppo Amici di San Biagio – hanno presentato un progetto sostenuto dalla Fondazione Comunitaria del Varesotto e in particolare dall’avvocato Andrea Mascetti. Capofila del progetto è la parrocchia di S. Giulio Prete di Cittiglio, affidata al parroco don Daniele Maola.
«Durante il primo studio antropologico fatto – relativo ai resti umani rinvenuti durante la campagna 2006-2009 – sono state documentate due morti violente: in un caso il cadavere era “decapitato” e nell’altro presentava una punta di lancia nel costato e, inoltre, una elevata presenza di scheletri di infanti. Per questo – ha spiegato Marta Licata – abbiamo ripreso lo studio antropologico progettando un altro scavo per indagare un’altra zona cimiteriale presente all’esterno della chiesa. In particolare vorremmo chiarire la presenza o meno di altre morti violente e cercare di capire perché tutti questi bambini sono stati sepolti nella chiesa e se altrettanti sono sepolti fuori. Vorremmo riportare alla luce tutto lo spazio cimiteriale e le tombe in esso custodite, per rispondere a queste domande».
DAL IX AL XVII SECOLO
La Chiesa è stata fondata intorno al IX secolo e, presumibilmente, dalla sua fondazione e fino al 1700 è stata luogo di sepolture sia dentro sia fuori.
«L’indagine odierna riguarda le sepolture poste immediatamente fuori la chiesa: lo scavo, infatti - riprendendo l’indagine di alcune inumazioni esterne già personalmente indagate nel 2009 – ha continuato Licata - ha portato alla luce all’esterno un’area quadrangolare nelle immediate adiacenze dell’emiciclo della Chiesa. Al di sotto di uno strato superficiale di spianamento dell’antico cimitero avvenuto presumibilmente nel XVII secolo e all’interno del quale sono stati recuperati numerosi reperti in giacitura secondaria (ossa umane frammentarie; monete e diversi manufatti metallici – chiavi di età rinascimentale in ferro, lame di coltello, un coltello intero con manico in osso, una fibbia di cintura in ferro, monete, chiodi delle casse di sepoltura e un anello bronzeo) sono emerse alcune sepolture di età rinascimentale in giacitura primaria: si cominciano già a vedere aree di cimitero documentabile. Si tratta di tre inumazioni di individui adulti in cassa di legno e due inumazioni di infanti (un feto e un bambino dell’età apparente di 1-2 anni) uno dei quali deposto in una singolare struttura a doppio coppo (comuni tegole). Sotto quelle inumazioni – che sono di epoca rinascimentale – si scorgono preesistenti sepolture a loculo litico di epoca precedente che saranno oggetto di studio con il prosieguo dell’indagine» ha aggiunto Marta Licata.
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Nelle foto: Licata, Cellina, Mella Pariani e Armocida (da sinistra) e alcuni dei resti umani ritrovati nell’ultimo scavo del 2016.
Indagine “sotto pelle” su patologie e peculiarità anatomiche
Non solo farfalle, francobolli, monete, quadri e affini, ma nello sterminato campo del collezionismo ce n’è anche uno anatomico particolare, come quello custodito nell’antico ospedale di Lodi. È la collezione di Paolo Gorini, una raccolta - unica nel suo genere - di circa duecento preparati, creati per documentare patologie e peculiarità anatomiche. Si tratta di teste, torsi, a cui si affiancano interi corpi, tutti pietrificati intorno alla metà dell’Ottocento dallo scienziato lodigiano.
Su questo insolito materiale ha preso il via all’Università dell’Insubria di Varese e Como un progetto, finanziato da Fondazione Cariplo e coordinato dal Centro di ricerca in Osteoarcheologia e paleopatologia diretto da Ilaria Gorini, per svelare quello che l’occhio, seppur attento, dell’osservatore non può acquisire. L’obiettivo è indagare «sotto la pelle» di queste parti anatomiche conservatesi pressoché immutate per quasi duecento anni e dare una risposta a interrogativi come quelli sulle tecniche, solo in parte comprese, adottate nel processo di conservazione.
Lo studio Under the skin, guidato da Ilaria Gorini e da Omar Larentis, assegnista dell’Università di Trento, ha ricevuto un finanziamento di 110.900 euro e il sostegno di vari enti, istituzioni e associazioni. Vi collaborano Alberto Carli, docente di Letteratura italiana contemporanea dell’Università del Molise, e Francesca Malaraggia, entrambi esperti conoscitori della figura di Paolo Gorini e della sua collezione.
ANALISI E STRUMENTAZIONI
All’analisi degli aspetti macroscopici e all’approfondimento dei caratteri biologici seguirà l’indagine radiologica. L’impiego di una strumentazione all’avanguardia consentirà l’acquisizione di immagini inedite, che mostreranno quello che fino ad ora non è stato possibile vedere, le strutture cioè interne e il loro stato di conservazione.
Le indagini si svolgeranno negli spazi dell’antico ospedale di Lodi dove è accolta la collezione. Sui composti e sulle tecniche utilizzate da Paolo Gorini interverrà Laura Rampazzi, docente di Chimica analitica dell’Università dell’Insubria, che potrà avvalersi della microscopia elettronica e dell’impiego di sofisticate analisi chimiche. Inoltre, Stefano Vanin, entomologo nell’Università di Genova, fornirà informazioni sulle condizioni igienico-sanitarie dell’epoca.
«La collezione anatomica Paolo Gorini è unica per la natura dei reperti che la costituiscono e dunque rappresenta un’interessante fonte di studio per la storia della medicina» spiega Ilaria Gorini, che sottolinea di essere solo omonima dello scienziato lodigiano. E aggiunge: «Fra gli obiettivi del progetto c’è anche l’impegno di donare alla comunità questo patrimonio nella sua completezza, poiché una parte della collezione è esposta al pubblico, ma numerosi reperti devono ancora essere studiati, restaurati ed esposti, per ottenere un corpus omogeneo fruibile dalla comunità. Il progetto vuole essere risolutivo nello svelare aspetti ancora sconosciuti ma anche nel predisporre le condizioni necessarie per richiedere l’accreditamento della collezione ad ente museale».
Nella foto (Uninsubria): Attuale esposizione dei preparati della collezione anatomica Paolo Gorini all'interno delle sale dell'ospedale vecchio di Lodi.