Edizione n.4 di mercoledì 15 febbraio 2025
Resistenza
Duno (Varese), rievocazione della Battaglia del S. Martino
Sabato, 1° novembre 2014, sono state piantate 200 rune celtiche a lato della chiesetta di San Martino in culmine, sopra Duno, nell’area che fa parte del sacrario dove giacciono le spoglie di quei valorosi che hanno sacrificato la loro vita per un ideale di giustizia e di libertà. Questa vetta fu, infatti, teatro della battaglia svoltasi il 13-14-15 novembre 1943.
Furono proprio gli uomini della formazione “Cinque Giornate” agli ordini del colonnello Carlo Croce che, primi in Italia, si ribellarono all'occupazione nazi-fascista. Un luogo sacro dunque dove militanti neofascisti si sono persino fatti fotografare accanto alle rune in legno, alla svastica e al fascio littorio, simboli dei regimi dittatoriali del secolo scorso. Sono stati inoltre ritrovati diversi volantini in cui si equiparano le vittime partigiane a quelle del nazismo e uno striscione che inneggia ai “guerrieri d'Europa”.
La “rivendicazione” del gesto è arrivata da una pagina Facebook.
SFIDA ALLA COSTITUZIONE
E’ la seconda volta che si ripete una manifestazione del genere, ma quest’anno i responsabili del gesto hanno alzato il tiro: non più solo striscioni, ma l’utilizzo di una simbologia che di certo non può passare inosservata.
Il vergognoso atto rivendicato dalla comunità militante dei Dodici Raggi rappresenta un’oltraggiosa e ignobile sfida che si pone in aperto contrasto con i principi su cui si fonda la Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza e dal sacrificio di migliaia di uomini vittime di un regime liberticida.
Di fronte a questa grave istigazione di chiara matrice neo-fascista, le istituzioni pubbliche (comuni, comunità montane, provincia, regione, ecc.) hanno il dovere di levare alta la loro voce. Alcune l’hanno già fatto, altre lo faranno.
DAL SAN MARTINO ALLA GERA
Non possiamo dimenticare che il fascismo-nazismo ha causato una guerra mondiale disastrosa con un bilancio, secondo alcuni studiosi, di 60 milioni di morti e lo sterminio di 6 milioni di ebrei e che il nazismo nacque dal tronco del fascismo e si modellò sui principi autoritari propugnati da Mussolini. Il fascismo peraltro non si sottrasse alla logica delle vergognose leggi razziali contro gli ebrei, promulgate in Italia nel 1938.
Anche il Varesotto ha offerto un tributo di sangue alla riconquista della libertà perduta. Ne sono un fulgido esempio i martiri della Gera che abbiamo appena commemorato.
COMMEMORAZIONE 16 NOVEMBRE
Domenica 16 novembre occorre pertanto un sussulto di indignazione, che deve tradursi nella partecipazione sul Monte S. Martino alla cerimonia commemorativa in ricordo degli eroi che hanno combattuto per la difesa del suolo italiano di fronte all’invasione tedesca, fonte di tanti lutti, di tragedie e di massacri.
Sono passati nemmeno 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale in Italia e alcuni partigiani sono ancora in vita. Persone che hanno vissuto il dramma della dittatura, che hanno subito anni di carcere, di torture e di guerra, nella quale hanno visto amici e familiari morire per mano fascista e nazista sono oggi costretti ad assistere ad un simile scempio.
Eppure la legge n. 645/1952 (la cosiddetta legge Scelba) sanziona chiunque promuova od organizzi, sotto qualsiasi forma, la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi propri del fascismo, o le sue finalità antidemocratiche o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista, denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista.
Perché allora ad un anno di distanza queste provocazioni si ripetono? A fine novembre una grande manifestazione a Varese richiamerà l’attenzione su questi gravi fatti, nella speranza che si giunga finalmente a porre la parola fine a questo doloroso capitolo della nostra storia recente.
Emilio Rossi
INTERVENTO - Legnano ricorda i deportati della retata nazifascista del '44 alla Franco Tosi
INTERVENTO - Era la mattina del 5 gennaio 1944. Da alcune settimane alla Franco Tosi di Legnano, grossa e antica fabbrica metalmeccanica produttrice di turbine, nella quale lavoravano oltre 5000 persone, c’era molto fermento. Era in corso un'importante trattativa per l'equiparazione dei salari a quelli di altri stabilimenti lombardi, per l'aumento della razione di pane e per la mensa. Dopo alterni momenti in cui sembrava che le trattative andassero in porto, la mattina del 5 gennaio gli operai della Franco Tosi si raccolsero nel corrile per parlare della loro lotta, e una volta saputo della totale chiusura della direzione aziendale, occuparono gli uffici dei dirigenti. Di questo venne immediatamente informato il generale delle SS Otto Zimmermann, cui era stata affidata la repressione degli scioperi nell’Alta Italia. Nel pomeriggio dello stesso giorno due camion pieni di SS varcarono il cancello della Franco Tosi. Nel piazzale centrale erano radunati migliaia di operai. Reparti fascisti si erano invece collocati all’esterno della fabbrica a presidiare gli ingressi.
Improvvisamente le SS scendono dai camion e puntano le mitragliatrici contro i manifestanti. Con un altoparlante ordinano ai lavoratori di ritornare in fabbrica. Nessuno si muove. Il comandante ordina il fuoco ma le raffiche fortunatamente non fanno né morti né feriti. Subito dopo scatta la caccia ai rappresentanti sindacali e ai più noti lavoratori antifascisti; i tedeschi sperano di mettere fine agli scioperi iniziati nel marzo dell’anno precedente. Vengono arrestati una sessantina di lavoratori e portati nel carcere di San Vittore. Nella notte reparti tedeschi e fascisti arrestano anche alcuni antifascisti legnanesi. Alla fine vengono trattenuti nove lavoratori, quasi tutti appartenenti alla Commissione Interna, che vengono mandati prima a Fossoli, poi a Mauthausen l’11 marzo ’44, dove vengono classificati come prigionieri politici. Sette di loro muoiono di fame, lavoro forzato e malattie, uno solo sopravvive.
Il 18 gennaio, come ogni anno ininterrottamente dal 1945, Legnano ha reso onore a Carlo Ciapparelli, Pericle Cima, Alberto Giuliani. Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Santambrogio, Ernesto Luigi Venegoni, Antonio Vitali. E ovviamente sono stati ricordati anche Paolo Arturo Cattaneo e Natale Morandi che riuscirono a far ritorno a casa, e tutti i caduti della Franco Tosi che hanno partecipato alla lotta di Liberazione.
La cerimonia si è aperta con la fermata dei lavori, poi alle 9.30 le lavoratrici e i lavoratori della Tosi si sono radunati in reparto, dove hanno ascoltato i discorsi ufficiali. E' poi partito un corteo che ha attraversato le vie cittadine fino al cimitero, dove davanti alle tombe vuote dei deportati ha parlato il presidente dell'Anpi di Legnano Luigi Botta. A commemorare la memoria dei caduti, insieme a un rappresentante della Rsu, ad alcuni studenti e al sindaco di Legnano Alberto Centinaio, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso in veste di oratore ufficiale.
Cgil Lombardia
Domenica 15, Lettere dalla Resistenza per ricordare la Battaglia del S. Martino
Domenica dedicata alla Resistenza e al suo significato a Cassano Valcuvia. Il 15 novembre si ricorderà infatti il 72° anniversario della Battaglia del San Martino che quest’anno si celebra proprio nel giorno in cui la battaglia si svolse.
La manifestazione, che vedrà cerimoniere Guido Calori, inizierà alle 9 con il ritrovo dei partecipanti al palazzo comunale di via IV Novembre, dopo mezz'ora Alzabandiera e alle 10 messa nella parrocchiale SS. Ippolito e Cassiano. Celebrerà padre Paolo Pigozzo, dei Padri Carmelitani Scalzi, priore dell’Eremo del Carmelo di Cassano Valcuvia. Il programma proseguirà alle 11 con la celebrazione civile cui interverranno sindaci e autorità terrioriali. Nella commemorazione sono stati coinvolti anche i ragazzi dell’Istituto comprensivo Luini che hanno lavorato sulla Seconda Guerra Mondiale. A loro sarà affidata la lettura, alle 11.30, di alcune lettere scritte da partigiani o semplici cittadini condannati a morte. Accompagnerà al violino Niccolò Minonzio, del Liceo musicale Manzoni di Varese. A cura del Teatro Periferico di Cassano Valcuvia inoltre “Lettura di lettere dei condannati a morte della Resistenza”. La commemorazione sarà a cura di Giorgio Roncari, studioso di storia locale.
Alla giornata parteciperà la Filarmonica Cuviese. In caso di maltempo la cerimonia si sposterà all’interno del teatro comunale. Info: 0332 252463
Nella foto della locandina, ufficiali del Genio sul San Martino (Biblioteca Civica del Comune di Mezzago-Mi, Archivio Luigi Brasca) .
Commemorazione caduti della Gera
Domenica 1° ottobre 2017 ricorre la commemorazione dei caduti della Gera. Il corteo si radunerà (ore 9,45) davanti al municipio e poi, accompagnato dalla Musica Cittadina, raggiungerà piazza Risorgimento dopo una tappa davanti al monumento a Garibaldi. L’orazione sarà tenuta da Antonello Vanni. Al termine della cerimonia (ore 11,15) trasferimento a Voldomino per posa di corona e messa alla cappella dei caduti della Gera.
Piemonte, recupero e restauro dei monumenti della Resistenza
In Piemonte saranno finanziati il recupero e il restauro di monumenti, aree e immobili legati a luoghi teatro degli episodi più significativi della Lotta di Liberazione e aventi valore di testimonianza storica. Il bando regionale è stato pubblicato nei giorni scorsi. Le domande di contributo per l’anno 2017 devono essere presentate entro il 31 luglio.
Già nel 1985 era stata approvata una legge regionale (la n. 41) finalizzata alla valorizzazione dei luoghi legati alla Resistenza e alla lotta di Liberazione, ma su quella legge da diversi anni non venivano più messe risorse. «In occasione dell’approvazione del bilancio di previsione», ha spiegato il vicepresidente del Consiglio regionale - e presidente del Comitato Resistenza e Costituzione - Nino Boeti, «abbiamo rifinanziato la legge con 50mila euro, il che consentirà di effettuare interventi di recupero e restauro su monumenti già esistenti».
Remo Passera, una “staffetta” della libertà
Usava dire, «Finché ci siamo noi, finché possiamo raccontarlo noi che l'abbiamo visto, che sappiamo come sono andate le cose, bisogna andare avanti, mai fermarsi. Il pericolo è sempre in agguato».
Era un antifascista lucido e appassionato Remo Passera, che della necessità di testimonianza ha fatto il filo conduttore dell'intera vita. Giovanissima staffetta partigiana - aveva quattordici anni quando entrò nella Resistenza - ha proseguito nell'impegno di divulgazione, approfondimento, avvicinamento - anche delle generazioni più giovani - alla conoscenza dei fatti che, qui e fuori, circondarono gli anni bui della storia italiana. Socio fondatore dell'Anpi, commendatore della Repubblica, insignito della Medaglia della Liberazione conferita dal Ministero della Difesa nel settembre 2016, mai si è risparmiato e, aiutato da un carattere gioviale, coinvolgente ma anche determinato, ha saputo farsi ascoltare.
È strano adesso parlare di lui al passato, proprio perché, per ottantasei anni e malgrado gli inevitabili acciacchi, che fossero il mondo degli Alpini o quello della Protezione civile, che fosse la Pro Loco di Brezzo di Bedero di cui è stato presidente o le associazioni di volontariato, la sua presenza è stata costante e sempre nella discrezione. Pareva cioè una di quelle personalità su cui il tempo non ha presa. Invece Remo Passera si è spento domenica 5 marzo, quasi sorprendendoci.
I funerali si svolgeranno mercoledì 8 marzo (alle 16,15) a Brezzo di Bedero, dov'era nato, nella Canonica.
Remo Passera, medaglia della Liberazione
Il Ministero della Difesa ha conferito al presidente dell’Anpi di Luino Remo Passera la medaglia della Liberazione. L’onorificenza sarà consegnata dal prefetto di Varese Giorgio Zanzi, sabato 3 settembre (ore 9.30), nell'aula magna dell'Università dell'Insubria.
Poi nel pomeriggio (ore 17), alla Schiranna, durante la festa di Anpi, la presidente Ester Maria De Tomasi gli assegnerà un riconoscimento del Comitato provinciale di Varese.
Eccidio della Gera, la ferocia nazifascista contro 12 paladini della libertà
Sono passati 70 anni da quel tragico 7 ottobre 1944, quando vennero catturati e barbaramente uccisi dodici partigiani della Formazione Lazzarini, che avevano stabilito il loro quartier generale in località Gera di Voldomino. E’ anche grazie al loro sacrificio che oggi possiamo godere di una riconquistata libertà.
RETE “BACCIAGALUPPI”
Voldomino, dopo la disfatta del S. Martino, divenne il centro della Resistenza nella nostra zona, soprattutto per merito della rete “Bacciagaluppi”, mediante la quale furono fatti espatriare, come sostiene lo storico Roger Absalon, circa 1843 prigionieri alleati. Franco Giannantoni, nel libro Varese come frontiera di libertà. Il salvataggio dei prigionieri di Mussolini dopo l’8 settembre 1943 e la “rete Bacciagaluppi”, sostiene che, nel periodo ottobre 1943–aprile 1945, circa 1020 prigionieri di guerra, di cui 754 britannici, 151 slavi e altri 115 prigionieri alleati, siano stati aiutati nel trasferimento in Svizzera.
I dati sono ricavati da formulari che venivano fatti compilare ai fuggiaschi e consegnati alle guide all’atto del passaggio della frontiera. Nella “rete Bacciagaluppi” inoltre si inserirono molti ebrei che utilizzarono gli stessi percorsi e le stesse persone.
DON FOLLI E SECONDO SASSI
Fu il parroco don Piero Folli, uomo di temperamento austero ma deciso, ad istituire a Voldomino un centro di assistenza, al servizio dei perseguitati dal regime nazi-fascista. «La sua casa, la sacrestia, l’oratorio, il vecchio asilo di Santa Liberata - scriveva don Giovanni Barbareschi, stretto collaboratore del cardinale Ildefonso Schuster - sono letteralmente invasi da centinaia di persone che vengono accolte, ospitate, rifocillate, aiutate ad espatriare».
Don Folli, che fu la punta di diamante del clero della provincia di Varese, venne però arrestato nel dicembre 1943 e condotto nel carcere di S. Vittore di Milano, insieme con Secondo Sassi, un attivista del PCI, primo sindaco di Germignaga dopo la Liberazione.
IL MARTIRIO DI ELVIO CAPELLI
In questo contesto si colloca la formazione Lazzarini, nella primavera del 1944, ospite della famiglia Garibaldi nell’attigua cascina della Gera.
I sogni di questi giovani partigiani si infransero però rovinosamente contro la ferocia dei loro aguzzini che ne decretarono la morte senza appello. Ad Elvio Coppelli, trucidato alle Bettole di Varese, furono addirittura strappati gli occhi prima dell’esecuzione. Rituali di una brutalità inqualificabile.
A questi eroi le amministrazioni comunali di Luino del dopoguerra intitolarono vie, a futura memoria.
Lassù, alla Gera, vive ancora Rosetta Garibaldi Merini, che, insieme alla mamma Maria, venne incarcerata per più di 40 giorni ai Miogni di Varese per presunta complicità con la formazione Lazzarini, rischiando una non improbabile fucilazione. A lei e ai famigliari la città ha il dovere di ribadire, ad alta voce, attraverso i suoi rappresentanti istituzionali, il suo grazie.
Emilio Rossi
Eccidio della Gera, un testimone raccolto da insegnanti e studenti
Primato della scuola nell'educazione ai valori di libertà, solidarietà, civismo. Testimone della memoria storica affidato e accolto dalle nuove generazioni. Contributo della donna al Secondo Risorgimento italiano e alla creazione di una società egualitaria e democratica. Sono anche questi i germi nati domenica 6 ottobre dalla celebrazione dell'Eccidio della Gera del 7 ottobre 1943.
Nuvole minacciose hanno imposto il taglio del corteo e della posa di corone ai monumenti di Garibaldi e ai Caduti e lo svolgimento della commemorazione in municipio accompagnata dalla Musica Cittadina. Poi il cielo si è stabilizzato e al sacrario di Voldomino ha potuto regolarmente aver luogo la cerimonia religiosa.
In una sala consiliare incoronata da bandiere e stendardi di comuni e associazioni del territorio il vicesindaco Franco Compagnoni ha accolto sindaci, partigiani, pubblico, rappresentanze civili, militari e scolastiche. In prima fila le dirigenti del Liceo "Sereni", Maria Luisa Patrizi, e dell'Isis "Città di Luino", Lorena Cesarin insieme con sette studenti.
Compagnoni ha esaltato l'attualità del sacrificio dei martiri della Gera e il presidente della comunità montana Valli del Verbano, Marco Magrini, ha richiamato il ruolo delle istituzioni nella difesa della convivenza civile. Lorena Cesarin ha messo in luce nella tragedia della Gera il ruolo della donna nelle figure di Maria Garibaldi e della sedicenne figlia Rosetta. Gli studenti hanno intervallato l'orazione ufficiale leggendo pagine tratte dalla pubblicazione di Emilio Rossi "I Martiri della Gera-Una storia da non dimenticare".
"Semi per una nuova cultura"
Domenica 6 ottobre, nella sala del consiglio comunale di Luino si poteva cogliere un filo di empatia, trasparente, gentile, ma resistente e saldo che univa le studentesse accompagnate dalle loro dirigenti Lorena Cesarin e Maria Luisa Patrizi, al sacrario della Gera di Voldomino dove un’altra grande donna, Rosetta Garibaldi Merini, con il suo sorriso confortante, custodiva e custodisce la sua testimonianza.
Abbiamo ascoltato, ancora una volta, il racconto delle ultime ore di vita di quei ragazzi che ora chiamiamo martiri, dalla voce di ragazze e ragazzi così lontani da quei giorni disperati. Ci siamo confrontati con quel coraggio che faticosamente ci sforziamo di trovare dentro di noi.
Abbiamo ascoltato parole penetranti e commoventi, musiche coinvolgenti, visto colori di bandiere familiari. Emozioni forti ma positive e forse fruttuose.
Sono semi per una nuova cultura, sconosciuta o dimenticata, per un albero che dovrà crescere dentro di noi, nutrito principalmente dalla nostra intelligenza emotiva.
Elisabetta Donegani
Guido Petter, giornalista adolescente nella X Brigata Partigiana “Rocco”
Sono stati recentemente pubblicati sul sito www.giornaliallamacchia.isrn.it, a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nel Novarese, nel Verbano-Cusio–Ossola, i giornali della stampa clandestina della Resistenza, nei territori in cui combatterono le formazioni partigiane sul versante piemontese.
Di particolare interesse i tre numeri di STAFFETTA AZZURRA, giornale della X Brigata “Rocco”, che operava sulle alture intorno al lago d’Orta, curato dal concittadino luinese Guido Petter. Si tratta di dattiloscritti con disegni eseguiti a mano e diversi per ogni copia.
Petter, futuro docente di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Padova, saggista e scrittore, come giornalista della brigata, ne curava la pubblicazione. Avrebbe raccontato lui stesso questa esaltante esperienza, quando girava con la sua macchina portatile, alla ricerca di una scatola di latta dove riporre i fogli e la carta a carbone, procuratagli finalmente da un ragazzo del luogo. E furono proprio i coetanei a salvarlo, quando, rintanato in una stalla al centro del paese, invaso da reparti tedeschi e fascisti, gli portavano di nascosto il cibo.
Realismo tattico
Giornali aperti al dibattito, rivolto soprattutto ai compagni di lotta. Nel numero del 12 marzo 1945, ad esempio, viene evidenziata la necessità di trasformare le bande partigiane in un regolare reparto dell’esercito di liberazione. «Le popolazioni lavoratrici di Torino, Milano, Genova, Venezia, Trieste attendono la libertà dalle nostre forze organizzate. […] La piccola banda autonoma non è sufficiente a questo grandioso compito, non basta da sola a sollevare le martoriate popolazioni italiane dal loro grande dolore, dalla tremenda loro umiliazione». Un realismo tattico finalizzato ad un unico ideale: “Libertà, piena libertà al popolo italiano”.
Cronache epiche
Non mancano cronache dal sapore epico, come la descrizione delle imprese del Barba, caduto in una missione operativa, «fondatore assieme con Rafles della Volante Azzurra nei primi mesi di lotta partigiana, l’uomo popolare per tutto il Biellese, che osava disarmare l’intera caserma con pistole di legno, che in un anno di guerra tutti avevano imparato ad amare, come si amano queste montagne amiche, come si ama questo cielo prealpino così freddo talvolta e pur così azzurro, così pieno di stelle nelle notti serene. I morti non vogliono vendetta, vogliono giustizia […] E continueremo pensando che la vita è bella solo se la si sa donare per un’umanità migliore, che la morte non è amara, quando si muore per la libertà della Patria».
Nel gioco crudele della guerra «uccidere è spesse volte un dovere, ma il vantarsi d’aver ucciso è sempre una miseria». E si cita Garibaldi che dopo una battaglia si mostrava sempre triste e qualche volta fu visto piangere per aver dovuto uccidere un nemico.
Pensiero unico e senso di responsabilità
Dichiaratamente di Guido Petter, che si firma con il nome di battaglia di Renzo, è l’articolo dal titolo «Significato del 25 Luglio». Vengono qui analizzate le forme di oppressione che hanno inquinato lo spirito dell’intera nazione.
La soppressione della libertà di parola, di stampa, di critica, infatti, secondo Petter, «ha facilitato il dilagare della disonestà, soprattutto negli elementi dirigenti, non più controllati dalla libera critica di qualsiasi cittadino, l’oppressione di ogni iniziativa individuale, con la conseguente paralisi delle migliori energie della vita nazionale; l’adozione di leggi e provvedimenti non discussi e per questo molto imperfetti e in certi casi dannosi […] infine ha permesso che la politica nazionale venisse diretta secondo mire espansionistiche e imperialistiche non sentite e non certamente volute dalla maggior parte del popolo italiano».
In questo contesto è venuto meno anche il senso di responsabilità. «Nel decalogo del milite fascista, il decimo comandamento è questo: Mussolini ha sempre ragione!» I giovani, pertanto, abituati al mito di un capo che pensava a tutto, hanno smarrito la coscienza di essere una forza viva in seno alla società. «Bastava inneggiare al risorto impero romano per passare un esame, avere la tessera del partito nazionale fascista per esser ammesso ai posti direttivi».
Era dunque questa la chiave che apriva qualunque porta. Il diciassettenne Petter non è però così ingenuo da pensare che la libertà possa consistere «nella possibilità che ognuno avrà di poter fare ciò che vuole, mirando solo a se stesso». Saremmo da capo, ammonisce, come prima, peggio di prima. Occorre pertanto transitare verso nuovi lidi dove ciascuno potrà esprimere il proprio pensiero e dirigere la propria azione «verso un miglioramento comune, cioè di tutti: ecco la vera Libertà».
Ricordi dei caduti
Toccanti sono i ricordi dei compagni caduti nella battaglia. «Nella chiesa del cimitero sono allineati i morti, sulle lunghe panche oscure; fuori, la sera di primavera traspare dal cielo luminoso in cui si drizzano snelli i mandorli in fiore. C’è gente che parla sommessa, che domanda e in tutti è il dolore muto e forte come un peso che fa male al cuore».
Il cronista solleva il lembo della coperta in cui ognuno è avvolto quasi per un ultimo saluto. C’è Matteotti con il maglione bianco tutto sporco di sangue, c’è Brighin, con la giacca così lunga per lui così piccolo che impigliandosi nei rami gli è costata la vita. E intorno ci sono le sorelle che piangono e lo accarezzano, lo chiamano dolcemente, come se potesse risvegliarsi. Poi ci sono Tom, Quirico, Vento, Nuvola, Generale, un ragazzo di sedici anni, che voleva diventare un grande poeta ed è morto con la sua illusione intatta.
«Generale che avrebbe fatto chissà che cosa per i suoi uomini che hanno imparato presto a volergli bene; ha i calzoni laceri e inzuppati di sangue, è stato colpito al ventre. Adesso la chiesa s’è fatta più buia; fuori, nella sera piena di profumi, si alza la luna piena, sopra le grandi montagne. E li riguardo tutti, distesi tra macchie di sangue rappreso, senza scarpe e mi sembrano addormentati nelle loro coperte. Come quando dormivamo insieme. Attendevano la primavera, le foglie, il ritorno; adesso noi li lasciamo così, a mezzo del cammino e proseguiamo nell’opera, perché non è giusto abbandonarla, quando i compagni per essa hanno dato la vita. A voi, compagni cari che non rivedremo più e che lasciamo qui in un paese forse non vostro, verranno col vento che porta lontano nella valle l’indistinto profumo dei fiori della montagna, le parole delle nostre canzoni, quelle che tante volte abbiamo cantato insieme: onore a chi cade in cammino, esempio a chi resta a lottare!»
Emilio Rossi
