Edizione n.30 di mercoledì 20 settembre 2023
Prima pagina
Lombardia, stop a case costruite vicino ai corsi d'acqua
Scappati i buoi, si chiudono le stalle; ma sempre meglio tardi che mai. In Lombardia nessuno potrà più costruire edifici in terreni prossimi ai corsi d'acqua. Nell’agrodolce dei due proverbi c’è un po’ il succo di una nuova legge varata l’8 marzo dall’assemblea regionale con 40 voti favorevoli e 21 contrari.
Il testo prevede una revisione organica della normativa in materia di difesa del suolo, di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e di gestione dei corsi d’acqua. Per le nuove costruzioni si dovrà tenere conto persino dell'acqua piovana che possa andare in fiumi e torrenti provocando aumenti considerevoli di volumi d'acqua, quindi introduce un esame preliminare dei rischi idrogeologici.
MANUTENZIONE E RISORSE
Ma c’è altro. Il legislatore regionale (e, speriamo, pure quello nazionale) ha acquisito «la consapevolezza» che mantenere in efficienza un’opera idraulica esistente ha un costo due volte inferiore rispetto alla sua ricostruzione o ripristino. Sarà, perciò, potenziata la manutenzione dei corsi d'acqua, delle opere esistenti e del territorio in genere.
Prevista anche la realizzazione progressiva di vasche volano, pozzi filtranti, tetti verdi e superfici semipermeabili per impedire il peggioramento del regime idraulico delle acque sotterranee e superficiali. A disposizione ci saranno circa 15 milioni di euro nel prossimo triennio, oltre a circa 11 milioni di euro per il sistema dei Navigli e delle idrovie collegate.
Altra novità è la governance sulla materia. Saranno rafforzate le funzioni di difesa del suolo attribuite agli enti del sistema regionale, in particolare quelle relative ai Consorzi di bonifica e all'Agenzia Interregionale per il fiume Po, alla quale viene affidata la gestione del sistema idroviario del fiume Po e delle idrovie collegate.
POSIZIONE DEL GRUPPI
Diverse le posizioni dei gruppi consiliari sul provvedimento.
Scontato il giudizio favorevole della maggioranza, da Alessandro Sala e Lino Fossati (Lista Maroni) a Carlo Malvezzi (NCD), Massimiliano Romeo (Lega Nord) e Riccardo De Corato (Fratelli d’Italia), per il quale la legge mette fine alle «costruzioni vicino agli alvei dei corsi d’acqua e consente una manutenzione più attenta delle sponde».
Via libera anche da parte del Movimento 5 Stelle. Favorevoli il capogruppo Stefano Buffagni («Si poteva fare di più ma le norme consentono comunque d'intervenire in maniera decente») e Buffagni, che ha però criticato l'ampia delega data alla giunta sui decreti attuativi e i regolamenti della legge.
No pieno, invece, dalle opposizioni. Contrari si sono dichiarati PD e Patto Civico (Laura Barzaghi, Agostino Alloni, Jacopo Scandella e Silvia Fossati). Per Enrico Brambilla (capogruppo Pd) presenta tre aspetti negativi: «Eccesso di deleghe in bianco alla giunta su regolamenti e decreti attuativi. Mancanza di correlazione tra il tema dell'invarianza idraulica e la tutela dal consumo del suolo, che rischia di rimanere solo un principio. Scarsità di finanziamenti, che rischia di mettere a rischio l'attuazione delle norme della legge stessa».
Per l’assessora al territorio, urbanistica e difesa del suolo Viviana Beccalossi, «il provvedimento - assieme alla legge sul consumo di suolo - rappresenta una scelta responsabile e innovativa per tutelare i cittadini e le attività economiche con iniziative capaci di mettere in sicurezza il territorio o quantomeno di intervenire sull'attenuazione del livello di rischio».
Premeno, i Savoia e le montagne del lago Maggiore

A Premeno (Verbania) il Magazzeno Storico Verbanese dedicherà un’altra pagina sul rapporto tra la dinastia sabauda e il lago Maggiore. L’Hotel Vittoria ospiterà, domenica 5 luglio, un convegno di studi su “I Savoia e La Montagna-La Casa Reale, le montagne di Ossola e Verbano tra Otto e Novecento”.
Destinatari sono studiosi di storia sociale, storia dell’arte, appassionati della montagna, associazioni per la tutela della montagna, sportivi, studenti universitari, studenti delle scuole secondarie di secondo grado, guide turistiche, operatori del settore turistico e alberghiero, amministratori locali, nazionali e internazionali, operatori del settore enogastronomico.
La partecipazione al convegno è libera e gratuita. Il giorno del convegno sarà rilasciato attestato di presenza a chi ne farà richiesta anticipata scrivendo a segreteria@verbanensia.org per confermare la partecipazione e i propri dati.
DOPO STRESA 2013
Nel novembre 2013 a Stresa il Magazzeno Storico Verbanese indagò le figure dei Savoia, con particolare riguardo per quelle della duchessa di Genova e della regina d’Italia Margherita e il loro rapporto con il territorio verbanese e il lago Maggiore. Ora il simposio vuole, invece, affrontare il tema dei Savoia e la montagna, partendo proprio dalle montagne verbanesi e piemontesi, dove fu forte la presenza della regina Margherita come estimatrice e amante della montagna.
«Altri Savoia – spiega lo storico e organizzatore del convegno Carlo Alessandro Pisoni - seguirono la sovrana e amarono la montagna; tra loro spicca Luigi Amedeo di Savoia Aosta duca degli Abruzzi. Egli fu un grande alpinista con importanti scalate al suo attivo sia in Italia sia all’estero: il duca degli Abruzzi, per quanto riguarda le Alpi, affrontò l’ascesa del gruppo del Gran Paradiso, del Monte Rosa (Punta Dufour, Punta Gnifetti), nel Massiccio del Monte Bianco (Dente del Gigante, Aiguille du Moine, Petit Dru), e ancora nell’agosto del 1942 quella del Cervino lungo la Cresta di Zmutt. Non bisogna dimenticare poi che pure l’ultima regina d’Italia Maria Josè, figlia di Alberto I del Belgio (anch’egli grande alpinista), amava la montagna ed era esperta sciatrice».
ARGOMENTI E RELATORI
Sono in programma interventi di Gianni Oliva (“Luigi Amedeo d’Aosta duca degli Abruzzi, un principe esploratore e alpinista”), Teresio Valsesia (“La regina Margherita di Savoia e la montagna”), Dorino Tuniz (“Quintino Sella fondatore del CAI”), Paolo Cirri (“La creazione di truppe di montagna nel Piemonte Sabaudo: Alessandro La Marmora e Cesare Magnani Ricotti”), Michael Jakob (“La montagna nelle arti figurative”), Ornella Selvafolta (“Piero Portaluppi e la montagna: architetture e paesaggi tra elettricità e loisir in Val d’Ossola”), Valerio Cirio (“I grandi alberghi montani fra Otto e Novecento”) e Carlo Alessandro Pisoni (“Mottarone e dintorni: le montagne dei Borromeo).
Seguirà piccolo rinfresco con degustazione di vini tipici del Novarese.
Foto: cortesia Hotel Vittoria, Premeno
Varese, “bollino” a 20 musei e raccolte
C’è anche per venti strutture del varesotto il bollino regionale di qualità su offerta museale e preparazione del personale. La certificazione è arrivata dal “Quinto riconoscimento dei musei e delle raccolte museali in Lombardia” reso noto il 5 giugno da Palazzo Lombardia.
Il provvedimento seleziona strutture di qualità, sia per l'offerta museale sia per quanto concerne la preparazione del personale. Le domande sono state presentate nel corso del 2014 e del 2015 da nuove strutture e, soprattutto, da realtà che non avevano mai avanzato richiesta in precedenza o non avevano tutti i requisiti. «Il riconoscimento - ha precisato l'assessore alle culture, identità e autonomie della Lombardia Cristina Cappellini - permette a musei e raccolte museali di vantare un ulteriore attestato della loro qualità e andrà anche a vantaggio dei visitatori, migliorando la qualità dei servizi integrati offerti dal sistema museale lombardo».
Questo l’elenco delle raccolte museali e dei musei in provincia di Varese con indicazione di comune, denominazione e tipo di riconoscimento.
- ANGERA, Civico museo archeologico (raccolta museale);
- ARSAGO SEPRIO, Museo civico archeologico (raccolta museale);
- BESANO, Museo civico dei fossili di Besano (raccolta museale);
- BRINZIO, Museo della cultura rurale prealpina (raccolta museale);
- BUSTO ARSIZIO, Civico museo storico artistico (museo);
- BUSTO ARSIZIO, Museo del tessile e della tradizione industriale (museo);
- CASALZUIGNO, Museo Villa Della Porta Bozzolo (museo);
- CASSANO VALCUVIA, Centro documentale frontiera nord Linea Cadorna' (raccolta museale);
- GALLARATE, Museo Ma*Ga (museo);
- GEMONIO, Museo civico Floriano Bodini (raccolta museale);
- LAVENO MOMBELLO, Museo internazionale design ceramico civica raccolta di terraglia (museo);
- MALNATE, Civico museo di Scienze naturali Mario Realini (raccolta museale);
- SAMARATE, Museo Agusta (raccolta museale);
- SARONNO, Museo delle industrie e del lavoro del saronnese raccolta museale;
- SARONNO, Museo di ceramiche antiche Giuseppe Gianetti (raccolta museale);
- SOMMA LOMBARDO, Parco e Museo del volo - Volandia (museo);
- VARESE, Musei civici di Varese (museo);
- VARESE, Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte sopra Varese (museo);
- VARESE, Museo villa e collezione Panza (museo);
- VIGGIÙ, Musei civici Enrico Butti (raccolta museale).
Milano, arriva da Budapest la Madonna Esterházy
A Milano, dal 3 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015, sarà esposta a Palazzo Marino (sala Alessi) la Madonna Esterházy di Raffaello, proveniente dal Museo delle Belle Arti di Budapest. Ingresso e visite guidate (prenotazione numero 800-16-76-19) saranno gratuiti.
La mostra, curata da Stefano Zuffi e accompagnata dal catalogo Skira, è un nuovo appuntamento natalizio offerto dal Comune di Milano insieme con Intesa Sanpaolo e Rinascente. Alla sua realizzazione hanno collaborato Palazzo Reale, Gallerie d’Italia di Piazza Scala e Arthemisia Group.
Il dipinto segna la conclusione del periodo trascorso da Raffaello a Firenze, prima di essere chiamato a Roma da Papa Giulio II. La sua composizione si ispira in modo esplicito a Leonardo, conosciuto e attentamente studiato da Raffaello, che porta con sé la tavola a Roma, dove aggiunge, sullo sfondo, i ruderi del Foro Romano.
Info: www.comune.milano.it/raffaello; Hashtag ufficiale: #raffaelloEsterházy.
Ginevra, "Ferite a morte", il dramma del femminicidio in diretta dalle Nazioni Unite su tvsvizzera.it
Oltre un terzo della popolazione femminile mondiale subisce violenza fisica o sessuale, molto spesso per mano di un partner. Lo dice un rapporto delle Nazioni Unite.
Dopo avere fatto tappa all’ONU di New York, a Washington, Londra e Bruxelles, il progetto teatrale sul femminicidio scritto da Serena Dandini in collaborazione con Maura Misiti sarà mercoledì 26, alle 19, al Palazzo dell’ONU di Ginevra in occasione della venticinquesima sessione del Consiglio dei Diritti umani.
I monologhi portati in scena attingono dalla cronaca e da indagini giornalistiche per dare voce alle donne che hanno perso la vita per mano di un marito, di un compagno, di un amante o di un ex. L’evento teatrale, in cui numerose figure femminili molto conosciute dal grande pubblico entrano attraverso un immaginario racconto postumo delle vittime, vuole essere un’occasione di riflessione, un tentativo di coinvolgere l’opinione pubblica, i media e le istituzioni.
Prodotto da Mismaonda, lo spettacolo sarà in francese, inglese e italiano. Sul palco, insieme alle autrici, ci saranno, tra le altre, Navi Pillay (alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani); Carla Del Ponte (ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia e ora membro della Commissione
internazionale indipendente d’inchiesta per la Siria); Cécile Kyenge (portavoce nazionale della Rete Primo Marzo); Mimma Viglezio (scrittrice e creative consultant); Maria Grazia Cucinotta (attrice e modella); Petula Clark (cantante e attrice); Ada Marra (consigliera nazionale); Lara Gut (campionessa di sci alpino).
La serata sarà ripresa e diffusa dalla RSI (a cura del Dipartimento cultura e in collaborazione tecnica con RTS), che manderà in onda lo spettacolo in video streaming live sul sito tvsvizzera.it e su feriteamorte.it oltre che sul sito dell'ONU.
Luino, Palazzo Serbelloni, dal restauro all'Open gallery
Dapprima sculture e quadri vari nella sala giunta. Poi una collezione di opere di Amleto Del Grosso nella sala consiliare e, sul pianerottolo, cimeli garibaldini. Ora una parte della quadreria di Palazzo Verbania sistemata alle pareti della scala, nei corridoi ritinteggiati del secondo piano e nel vestibolo del sindaco e un dipinto di Antonio da Tradate collocato nella sala rossa, dedicata all'ex sindaco Piero Astini.
Da occasionale deposito di testimonianze eterogenee Palazzo Serbelloni s'avvia, di lustro in lustro, a diventare galleria a soggetto della comunità luinese. A definire e ufficializzare il nuovo respiro dell'edificio, fresco del restauro delle facciate e prossimo - non appena ristorate le esauste casse comunali - al completamento dell'operazione anche all'interno, sarà, venerdì 14 marzo, alle ore 18, una duplice cerimonia. Sarà inaugurata la "open gallery" curata dallo storico dell’arte del territorio Federico Crimi e sarà intitolata la sala rossa a Pietro Astini con un profilo rievocativo affidato al docente dell'Università dell'Insubria Giuseppe Armocida.
Pietro Astini (Milano, 10 luglio 1927–Varese, 6 luglio 2005) arrivò sulla sponda luinese del Verbano il 30 settembre 1931 e vi rimase sino alla morte. Di professione medico di base, fu sindaco di Luino dal giugno 1993 all'ottobre 1995. Studioso di archeologia, arte, storia locale, fu presidente della Società Storica Varesina e Ispettore Onorario della Soprintendenza Archeologica di Milano. A lui si deve l'idea del Museo Civico di Luino, del quale sarebbe stato il primo Curatore a partire dall’inaugurazione del 1968.
In Sezione Cronaca di Luino, un approfondimento storico su opere e autori della open gallery e un'analisi tematica nell'intervento di Federico Crimi.
Studenti del Liceo Sereni a bottega nel Magazzeno Storico Verbanese
A Luino nei giorni tra lunedì 24 febbraio e mercoledì 5 marzo si è svolta, nell'aula di informatica del Liceo, una sessione di "training on the job" molto particolare, rispetto alle normali esperienze lavorative condotte dagli studenti del nostro Liceo.
Bisogna tornare agli ultimi anni Settanta per incontrare, grazie all'intelligenza di un docente e di un laureando sinceramente appassionati della cultura locale, come Piero Tosi e Gianni Geraci, e la guida storico-archivistica di uno studioso animato da un profondo amore per il proprio lago, come Pier Giacomo Pisoni, la realizzazione di un progetto che condusse alla trascrizione sistematica di un'ingente quantità di "stati delle anime" per le pievi di Valtravaglia in epoca carliana, consentendo così l'elaborazione di statistiche e di considerazioni in chiave storico-demografica che a firma di Geraci e Tosi apparvero in sunto su "Verbanus" 3-1981/82.
A distanza di decenni, l'esperienza "lavorativa" è stata ripresa e riproposta in chiave moderna a una decina di ragazzi di una sezione terza del Liceo Scientifico, nell'ambito del progetto alternanza, varato dal Liceo e che ha raccolto l'adesione del Magazzeno Storico Verbanese.
TRA COMPUTER E ANTICHE CARTE
A questi ragazzi è stata proposta (con il titolo "Legger 'le venerande carte': noia o vedere nel futuro?") una sessione di studio e lavoro su carte d'archivio in modo virtuale (sono stati dotati di schede USB da 4 Gb, appositamente disegnate e ingegnerizzate dal MSV), e dopo due giorni di preparazione teorica (sui metodi della Storia, sulla storia locale e gli storici del territorio verbanese-ossolano; sugli archivi come strumenti della nostra memoria; sul lavoro d'archivio e gli strumenti da usare per muoversi tra le carte d'archivio; sulle peculiarità dei documenti), i ragazzi si sono dedicati alle trascrizioni documentali a partire da digitalizzazioni da fondi realizzate in quello che è forse il più importante archivio nobiliare del Verbano: l'Archivio Borromeo Isola Bella.
Così facendo, essi si sono resi conto, in modo vivace e moderno (le sessioni di lavoro erano sempre al computer in presenza del tutor Carlo Alessandro Pisoni, conservatore dell'Archivio Borromeo Isola Bella, ed erano accompagnate da "question time" e non di rado con un discreto sottofondo di musica, classica e pop), delle difficoltà e del fascino di interpretazione delle antiche scritture e con il glossario dialettale e dell'italiano sei-settecentesco, delle non poche similitudini che esistono con la nostra vita odierna.
QUESTION TIME
Altri casi notevoli di discussione sono stati ad esempio le rivalutazioni e le conversioni monetarie (ongaro, filippo, scudo, giulio), l'utilizzo di terminologia specifica (vocaboli dialettali, contaminazioni da altre lingue, come il caso di "papello", spagnoleggiante per carta, termine oggi tornato molto di moda per questioni di mafia...), o ancora curiosità e stranezze che ai ragazzi di oggi sembrano cose dell'altro mondo (l'uso dei "procacci" o "stafette" per recapitare la posta, in un'epoca che non disponeva di comunicazioni rapide come le nostre)...
Le pagine e pagine di trascrizioni, nei prossimi tempi, verranno pubblicate sul sito sociale del Magazzeno Storico Verbanese, come risultato di una collaborazione piacevole ed efficace, che si spera abbia fatto comprendere ai ragazzi che la storia non è lo studio del passato, ma la preparazione consapevole del nostro futuro; e che questa preparazione matura proprio negli archivi, che vanno dunque conosciuti e amati come patrimonio vivo e generoso di una nazione.
Luino, Giornata della Memoria con il fratello di Salvo D'Acquisto e il figlio di Enrico Sibona
Nella immagine scattata a Varese, Alessandro D'Acquisto, fratello di Salvo D'Acquisto, davanti al monumento dedicato al suo eroico familiare. Il vice brigadiere dei carabinieri nel settembre 1943, a Torrimpietra, pur essendo estraneo ai fatti, si autoaccusò di un presunto attentato salvando dalla rappresaglia tedesca ventidue cittadini scelti a caso tra la popolazione. Gli ostaggi, già costretti a scavarsi una fossa, furono liberati, il giovane carabiniere ucciso.
Alessandro D'Acquisto era in territorio varesino per partecipare a Luino, martedì 18 febbraio, alla Giornata della Memoria, dove è stato anche ricordato Il maresciallo Enrico Sibona, comandante della Stazione dei Carabinieri di Maccagno dal 1939 al 1946, che si adoperò per salvare la vita ad alcuni ebrei dalla persecuzione nazifascista. Cronaca cliccando Sezione Cronaca di Luino.
Donne che non poterono ballare e sciogliere i capelli
«Acconciò i capelli perché così voleva il padrone»; «fin da piccola le era stata insegnata la fatica»; «gli serviva solo una che lavorava bene»; «sognava di sciogliere i capelli» al contrario «sarebbe andata la sua vita con i capelli raccolti»; «a undici anni Gina era già al lavoro». Eccola che appare, Gina, fin dalle parole iniziali del romanzo. Giovane donna, vive in un villaggio che non si dice dove sia né che nome abbia. Lei potrebbe chiamarsi Regina, e ballare, come ama, sentire musica, come ama, persino studiare. Invece alle soglie dei trent'anni già si sente "zitella" perché così l'humus che la circonda la induce a pensarsi, non scavalca il limite dei sogni a occhi aperti, tanto meno una quotidianità fondata sull'accudimento degli altri, a cominciare dalla famiglia d'origine, sull'accettazione di giorni e cicli precostituiti.
L'hanno indirizzata a quel modo il mondo che ha attorno e la madre, inespressa personalità che non riesce a trasferire alle figlie se non quanto da lei stessa subito. Un modello materno che ritiene le figlie «nove inutili femmine», qualche sberla «il prezzo da pagare per avere un marito» e che in particolare per Gina voleva «un uomo, uno che la domasse e le indicasse il suo ruolo». Pensa questo, la madre, rammaricandosi, per sé stessa, di aver generato, sì, molti figli ma non un numero sufficiente a garantirsi l'ambito premio negli anni Trenta dal regime attribuito alle famiglie numerose.
Parte quasi blando “La lettera G”, romanzo di Manuela Bonfanti pubblicato da Luciana Tufani Editrice. Snocciola i passi di vite scialbe, nate da vite scialbe e di sacrificio, chiuse in luoghi comuni e deprivazioni sentimentali, costruite su carenze e assuefazioni che si ritrasmetteranno nelle generazioni successive.
L'autrice è alla prima prova come romanziera, pur essendo esperta di scrittura. Svizzera, ha studiato tra Ginevra, Londra e la Germania, ha insegnato, ha operato nel marketing giornalistico e partecipato a un progetto di formazione per i Paesi in via di sviluppo. Vive ora in Francia e a lei si devono articoli, racconti e il reportage di viaggio plurilingue “Reami del silenzio”.
La storia italiana che con “La lettera G” - "G" come Gina, come marcatura, ineluttabile - racconta, spesso interloquendo direttamente con il lettore, parte dal 1934 e giunge al 2005. E' centrata su quel femminile che si personifica in immediata immagine e tutto il resto parrebbe sfondo, anch'esso blando. Blando non è, al contrario. Che tutto sia normalità ci induce a crederlo lo stile della scrittura, impegnata a non caricare di aggressività alcuna scena o alcun vocabolo. E' crudele in realtà ciò che avviene, perché costante è la mancanza di libera scelta. Proprio il linguaggio dell'autrice scivola veloce nella mente, vi impianta situazioni chiare e parrebbe di prevedere come andranno a finire. Invece il testo d'improvviso si rovescia, sovverte quanto si dava per noto, entra a gamba tesa nella pace di una lettura di analisi e riflessione, quasi volta verso la sociologia. Il ritmo "blando" viene abbandonato, in poche righe di corsivo, attraverso il dialogo con un'entità che ha corpo ma potrebbe essere anche solo spiritualità, un'altra diventa la voce di Gina, un'altra la sua coscienza, sanguinante l'angustia che la domina e la dispera. La ferocia è ora in campo e accompagnerà fino al termine del romanzo il quale, in un'operazione tematica e strutturale che continuerà a montare e smontare i retroscena sentimentali e psicologici della protagonista, nelle ultime pagine sovvertirà una volta ancora ciò che ci si attendeva e riconsegna a una nuova modulazione e interpretazione.
Al di là della scelta stilistica e della compostezza lessicale utilizzata, il testo è un percorso che non arringa. Semplicemente dice le condizioni di oppressione sociale e culturale che rappresentarono la società nello scorso secolo, mostra il confluire verso la rassegnazione, l'accettare un «destino», il deporre i sogni, il farsi attraverso la rinuncia da sé violenza. Vittime di operazioni di spersonalizzazione sono soprattutto le donne, ma anche gli uomini non sono esenti da prigionie in queste pagine.
L'esempio più evidente è il marito della protagonista, scoloratosi tra semine, raccolti, gerle e delusioni, cui non viene mai detto «grazie» nel caso si sforzi di un piccolo gesto di condivisione, che non sa riconoscere il proprio padre perché tra loro si è interposto il tempo di guerra e che mai si è sentito amato o ha provato l'ebbrezza di uno slancio. Schiacciato anch'egli da ciò che altri gli hanno inoculato, incapace di gioire persino per la nascita dell'ennesima figlia tanto da non andare a registrarla impedendole di conseguenza di sapere l'esatto giorno di compleanno, se dapprima appare opaco e dominante, alla fine non raccoglie compassione ma almeno la sospensione del giudizio. Il comporsi di tanti mali, o disfunzioni, che in molti casi ancora appartengono al presente appaiono in “La lettera G” senza mezze misure. Leggere accompagna in una utile rivisitazione tematica e temporale. Farlo potrà giovare soprattutto alle recenti generazioni perché meglio capiscano da dove provengono certi permeanti archetipi e i meccanismi psicologici e sociali in cui tuttora ci si imbatte, con cui a volte ci si scontra.
Elena Ciuti
--- Manuela Bonfanti, "La lettera G", Luciana Tufani Editrice, 208 pp, 13 euro
Varese, l’archivio segreto del filosofo Banfi e il convegno sul Razionalismo critico europeo
Nella settimana in cui veniva dedicato tra Milano e Luino un convegno a Vittorio Sereni nel centenario della nascita, l’Università degli Studi dell’Insubria ha portato il 25 e 26 ottobre nella sua sede varesina di via Ravasi un altro convegno a Sereni molto vicino poichè al centro è stato il filosofo Antonio Banfi, di cui il poeta luinese seguì i corsi durante l'università. Argomento dei due giorni, «Sul razionalismo critico di Antonio Banfi alla luce degli inediti del suo “archivio segreto”. La ragione quale meta-riflessione?».
L’evento è stato un’occasione di approfondimento della storia del Razionalismo critico europeo, con particolare attenzione alla lezione del fondatore della “Scuola di Milano” e, al tempo stesso, ha rappresenta un momento di apertura e confronto Varese e le sue scuole da un lato e l’Università dell’Insubria e il Centro Internazionale Insubrico dall’altro. L’iniziativa infatti si colloca all’interno degli approfondimenti filosofici della quinta edizione del “Progetto Giovani Pensatori" destinato agli studenti varesini, dalle primarie alle superiori.
Il Centro Internazionale Insubrico è depositario del cosiddetto “archivio segreto banfiano”, complesso di circa cinquemila lettere inedite che consentono di ricostruire – e ridefinire – la biografia intellettuale di Banfi.
L’organizzazione del convegno ha preso le mosse non soltanto dalla considerazione che il filosofo milanese sia uno dei maggiori pensatori della filosofia europea del Novecento, ma anche dalla volontà di far conoscere alla città e alle sue scuole il lavoro di ricerca che l’università sta conducendo su questi preziosi materiali inediti. «Proprio lo studio, la catalogazione e la piena valorizzazione di queste nuove carte inedite consentono di aprire nuove piste di ricerca, nuovi scenari per meglio comprendere l’opera e il pensiero di Banfi» spiega il professor Fabio Minazzi, direttore del Centro e presidente del convegno.
Venerdì 25 ottobre, in serata, anche uno speciale momento di intrattenimento con la prima assoluta dell’“Omaggio alla Scuola Banfiana. Luigi Rognoni interprete musicale di Vittorio Sereni”, interpretazione della poesia “Una donna” di Vittorio Sereni, musicata da Luigi Rognoni, con l’attrice Elisabetta Vergani, il soprano Alessandra Molinari e Kingsley Eliot Kaye, compositore e pianista. Minazzi ha anche presentato il volume “Nel sorriso banfiano”, che raccoglie cartolettere e foto di allievi banfiani.
E poi anche un'iniziativa che parla di attesa e futuro. Sabato, dopo la seconda sessione di lavori, nell’area di Bizzozero adiacente al Collegio Cattaneo si è svolta “Seminare alberi e cultura”, mettendo a dimora alcune piante, in collaborazione diretta con il progetto dei Giovani Pensatori, con studenti e docenti dell’Università degli Studi dell’Insubria e delle scuole varesine.
Perché mettere a dimora delle piante in occasione di un convegno di filosofia? «Per diverse ed articolate ragioni – spiega Minazzi, ma soprattutto perché mettere a dimora una pianta costituisce un gesto educativo che concerne la nostra intera società civile. Né possiamo dimenticare come tutti noi viviamo in una città come Varese denominata “Città giardino» .
